dal blog di Marco Gallicani
In giro per l’Europa ci sono alcuni posti dove per terra, camminando, è possibile incappare in piccoli sanpietrini dorati completamente estranei dal contesto visivo.
Sono delle pietre d’inciampo, un’opera dell’artista tedesco Gunter Demnig che ha voluto “depositare, nel tessuto urbanistico e sociale delle città europee una memoria diffusa dei cittadini deportati nei campi di sterminio nazisti”.
Li mette dal 1995 davanti alle ultime abitazioni delle vittime e sopra incide il nome della persona, l’anno di nascita, la data e il luogo della deportazione e la data di morte. Dice che è un modo per creare disordine e ricordare, una parola dal sapore affascinante, che viene da cordis (il cuore), perché il cuore era ritenuto la sede della memoria. Così facendo ridona loro un’identità.
Io credo che quello che facciamo con questa giornata in Italia sia una pietra d’inciampo, un momento importantissimo perché nel 2016 sono troppi gli italiani che sono convinti che alla fin fine l’orrore che sconquassò l’umanità a metà ‘900 fu dovuto a pochi cattivissimi. E invece dei circa 700 ebrei deportati da Roma dopo la tragica retata del 16 ottobre 1943 almeno 439 (quasi la metà) furono traditi o arrestati dagli italiani. Quelli buoni, quelli che non ci hanno mai creduto davvero. Quelli folkloristici, goliardici.
Sono troppi gli italiani, i miei amici che ignorano che l’introduzione del norme razziali nel sistema giuridico italiano fu un’operazione complessa e studiata da giuristi esperti e tecnicamente preparati, non un gioco, non un’improvvisata. Anticipata da un’azione propagandistica molto attenta capace di far credere ai più che si trattasse solo di un gesto formale, sostanzialmente obbligato e portato avanti per compiacere l’ingombrante alleato.
Io credo che quello che facciamo con questa giornata in Italia sia una pietra d’inciampo, un momento importantissimo perché proviamo a raccontare anche solennemente che non è vero che certe cose non possono capitare di nuovo, che non possono star tranquilli i ragazzi, ma che si devono interessare, devono stare dentro un tempo (ed una società) che è capace di assistere a deportazioni simili a quelle di metà ‘900 senza rimanerne inorridito. Gennaio non è ancora finito e sono già oltre 200 le persone morte nel tentativo disperato di raggiungere l’Europa, annegati in un mare che avrebbe dovuto collegare la loro terra (mediterraneo, in mezzo a due terre) e il continente dove speravano di trovare pace.
E dove invece molti di loro sono morti congelati. O annegati, come a Venezia l’altro giorno. E noi parliamo d’invasione (come fanno sempre più politicanti cialtroni) e di invadenza (come fa qualche amico che prova a giustificare la sua paura).
Gli immigrati in Italia sono l’8,2% e credetemi che è un dato che crescerà. Non serviranno i muri come non è servito bloccare le frontiere. La chiusura della rotta balcanica ha spinto i profughi nel Mediterraneo e ora che trovano blindato anche quell’accesso iniziano a guardare in direzione dell’America Centrale. I muri servono sicuramente a creare emergenze dove non ce n’erano ammassando le persone tutte a ridosso del confine e a creare delle zone dove i criminali possono governare con la violenza il traffico di chi può permettersi di superare anche i muri più alti, corrompendo chi va corrotto.
Allora “perché la memoria del male non riesce a cambiare l’umanità? A che serve la memoria?” si chiese Primo Levi. Io spero a trasformarci tutti in pietre d’inciampo, a farci avere il coraggio che ha avuto Cedric Herrou, il contadino francese sotto processo per aver aiutato i migranti. A farci arrivare al cuore che non è giusto ne normale vivere quello che hanno vissuto quasi tutti quelli che tentano di venire in Europa: viaggiare due o tre anni a piedi, pagare per essere caricati in 25-30 in una jeep con solo una lattina d’acqua al giorno che puzza della benzina che ci hanno messo dentro per non fartela consumare tutta subito, farlo incinte perché questo è l’unico tabù ancora rispettato dalle bande (le altre vengono tutte violentate nel percorso, e non una volta sola), restare in un campo di concentramento per mesi in attesa degli ultimi soldi, senza i quali si rischia di diventare schiavi, prostitute o aggregati d’organi.
Non è normale e se c’è qualcuno che può capirlo è il cuore di un giovane. A loro serve la memoria, e a noi per essere un po’ come loro