di Alessandra Narseti
Credo che queste occasioni siano importanti per ricordare come i diritti, sia civili che politici, siano conquiste che richiedono battaglie, impegno e determinazione. Chi nasce con questi diritti, purtroppo, tende a dimenticarlo.
Sembra assurdo pensare che meno di un secolo fa una parte della stampa definisse le suffragiste come “cattive donne” e celebrità del tempo come Vittorio Gassman e Vittorio De Sica considerassero il diritto di voto alle donne come un “nemico della serenità domestica”. Ma questo non deve stupire se si considera che fino al 1956 in Italia vigeva lo ius corrigendi (cioè il potere correttivo del marito nei confronti della moglie che comprendeva la coazione fisica), ne era punito sì l’abuso, ma per abuso si intendeva un ricovero ospedaliero di almeno 20 giorni.
Se questo succedeva nella vita privata non dimentichiamo, per quanto riguarda l’attività lavorativa, che le donne non poterono accedere alla magistratura fino al 1963. L’assemblea costituente nel 1947, infatti, negò loro questo diritto, dopo un lungo dibattito dal quale emerse l’inidoneità della donna per la “difficile arte del giudicare”.
E’ questo il contesto nel quale le donne italiane iniziano a chiedere sempre più insistentemente di poter partecipare alla vita politica del paese. E sono proprio queste donne, a mio avviso troppo dimenticate, che mi piacerebbe in questa occasione ricordare. Ne cito una per tutte: Anna Maria Mozzoni, che fu una delle più grandi emancipazioniste italiane e fu, tra l’altro, autrice di diverse petizioni al Parlamento.
E’ curioso un fatto: nel 1925 proprio durante una discussione alla camera sulla estensione del diritto di voto alle donne, il deputato Giacomo Acerbo citò una sua petizione affermando però che fosse stata scritta “dal Mozzoni”, attribuendole così sesso maschile. Credo che questo sia molto significativo.
Ma quello che più di tutto mi preme ricordare è come al riconoscimento giuridico dei diritti corrispondano mutamenti, il più delle volte anche molto profondi, nelle vite delle persone. Questo valse anche per il riconoscimento del diritto di voto, negato per tanto tempo alle donne proprio per paura che portasse alla fine del loro assoggettamento nella sfera privata. Quello che successe nel ’46 fu quindi qualcosa di molto grande, perché permise alle donne di rompere quel guscio che le aveva ricoperte per anni.
Vorrei concludere il mio intervento, proprio, con la testimonianza di una partigiana, Marisa Ombra, che secondo me con le sue parole rese molto bene questa sensazione provata dalle donne che nel ’46 votarono per la prima volta, disse: “Per noi donne andare in guerra e imparare allo stesso tempo la politica è stata una sconvolgente scoperta. La scoperta che la vita era, poteva essere qualcosa che si svolgeva su orizzonti sempre più vasti di quelli fino ad allora conosciuti. Che esisteva un’altra dimensione del mondo. E’stato quindi un evento che ha modificato la nostra stessa idea di vita, è stato un prendere a pensare in grande”.