Non so chi di voi ha mai conosciuto Ivano Barberini, storico presidente di Legacoop, scomparso nel 2009.
Io l’ho conosciuto a Roma, quando ci lavoravo, e vi assicuro che era una persona che letteralmente incarnava i valori della cooperazione così come la si può studiare sui libri di storia, quello straordinario strumento di eguaglianza che – a partire dal settore del consumo – ha letteralmente rivoluzionato l’imprenditoria del ’900. Rivoluzionata, non tradita.
Nel 2008 Legacoop si fece promotrice di un lavoro molto approfondito sulle regole per la governance delle cooperative. Nel documento (lo trovate cliccando qui, è un po’ lungo, ma magari avete 10 minuti da investire) si afferma un principio che alcuni nostrani commentatori sembrano non tenere in considerazione: le regole di governo di una istituzione cooperativa sono finalizzate all’effettivo ottenimento dei risultati perseguiti – si governa cioè verso un risultato - ma le regole di governo sono ancor più cruciali per assicurare la stabilità nel tempo della visione e della missione. Sembra banale, ma non lo è per niente, specie se applicato all’imprenditoria privata italiana.
Bene, nonostante questo lavoro scritto durante l’autorevole guida di Barberini le regole di governo delle società cooperative non sono state in grado di evitare infiltrazioni malavitose importanti e, che è peggio, lo sviluppo nel loro stesso ambito di comportamenti malavitosi rilevanti. Questo risultato è sorprendente per tantissimi osservatori.
Scrive il prof. Tagliavini dell’Università di Parma in un suo intervento recente che “[...] esistono infatti diversi meccanismi standard che sono finalizzati ad escludere che una istituzione sia “catturata” da qualcuno, che prima diviene sempre più forte, che poi diviene inamovibile, che poi ha la possibilità di realizzare comportamenti illegali senza più che le regole di salvaguardia entrino in funzione.” Questi meccanismi standard non vanno inventati, vanno semplicemente applicati e nel documento li trovate molto ben esplicitati.
“Una volta applicati - continua Tagliavini – si osserva invariabilmente che i comportamenti devianti diventano impossibili, o assolutamente improbabili. Se ci sono le giuste regole di governo, i comportamenti vengono efficacemente contrastati. Se tali regole non ci sono, i comportamenti devianti sono possibili. Il profilo su cui riflettere non è tanto la repressione del reato, ma l’attuazione di regole di governo aggiornate ed efficaci, con le quali i reati non possono essere compiuti.”
Eppure in alcuni casi queste regole sono evidentemente insufficienti. Le regole di governance devono essere infatti tarate verso l’obiettivo della stabilità, oltre che dell’efficienza, e in questo senso si sono dimostrate deboli.
Per questo nel documento si parla anche dei profili di ulteriore lavoro che sono diversi:
1) le regole che contrastano i comportamenti autoreferenziali devono essere obbligatorie e non discrezionali;
2) il vincolo sul numero massimo di mandati deve essere preciso ed obbligatorio (le timidezze a questo riguardo sono assai pericolose);
3) il cumulo degli incarichi a livello di gruppo deve essere regolato in modo restrittivo;
4) gli amministratori indipendenti devono esserlo in senso effettivo;
5) la separazione del ruolo di indirizzo strategico dal ruolo di gestione deve essere effettivo.
“Se si analizza la vita societaria della “Cooperativa 29 giugno” [e di qualche cooperativa di quaggù NdA] si riscontrano tutti gli elementi che consentono a una personalità forte (o un gruppetto coeso di persone) di “catturare” l’istituzione presieduta. Con regole statutarie inadeguate si può fare affidamento sulla fortuna o sulla correttezza dei singoli. Ma le istituzioni economiche importanti devono essere meglio tutelate, a prescindere dalla fortuna o dai comportamenti dei singoli.”
Perchè la cooperazione non è “un fenomeno degenerativo di come fare impresa, nel senso che se andiamo a vedere le definizioni del codice civile nelle coop spesso chi organizza uomini e mezzi ( il direttore della coop. ..) non rischi quasi nulla del suo, cioè fa l’imprenditore coi soldi degli altri…”.
La cooperazione – quella fatta bene – sposta l’orizzonte dal mio al nostro, dall’io al noi, ed è un salto che purtroppo non risulta più molto di moda, ma che non è morto, basta andare a vedere come lavorano alcune piccole cooperative, anche molto vicine a noi, o come lavorano altre grandi cooperative, che sono partecipate, non delegate.