In riferimento all’interrogazione del gruppo consiliare Forza Italia si fa presente che questa Amministrazione, consapevole della gravità e della delicatezza del problema delle violenze nei confronti delle persone più deboli della nostra società come minori, anziani e disabili, non ritiene che la videosorveglianza sia la soluzione.
Di seguito si riportano alcune note e riflessioni in merito al problema, rispetto in particolare alla proposta legislativa approvata dalla Camera dei Deputati ed in attesa di essere valutata in Senato, rispetto alla situazione dei servizi educativi comunali e della Casa Residenza Anziani (CRA) Città di Fidenza, rispetto al lavoro svolto ed in corso, a livello socio-sanitario, in ambito provinciale.
Per quanto riguarda la proposta di legge è importante dare un quadro di contesto legislativo approvato alla Camera: punto nevralgico della proposta di legge che consente l’installazione delle telecamere a circuito chiuso negli asili e nelle strutture per anziani e disabili, pubbliche e private, al fine di prevenire e contrastare maltrattamenti nei confronti dei minori negli asili nido o scuole d’infanzia, degli anziani e disabili nelle case di cura a carattere residenziale, semi-residenziale o diurno, è la possibilità di installare, nei locali delle strutture, sistemi di videosorveglianza a circuito chiuso con immagini cifrate, con un meccanismo a due chiavi: una in possesso della struttura stessa e l’altra di un ente terzo certificato. La raccolta dei dati dovrebbe essere utilizzabile a fini probatori in sede di accertamento delle condotte di abuso. Per risolvere i problemi sul fronte privacy, il testo prevede che l’accesso alle registrazioni sia vietato, salvo, nel caso di segnalazione o denuncia: ma in tal caso le immagini potranno essere visualizzate soltanto dal pm o dalla polizia giudiziaria su sua delega. L’installazione avverrà soltanto “previo accordo collettivo con le rappresentanze sindacali unitarie” (ovvero, in mancanza con l’autorizzazione dell’ispettorato del lavoro) e la presenza dei sistemi di videosorveglianza dovrà essere sempre segnalata a tutti i soggetti che accedono ai locali monitorati. È in ogni caso vietato l’uso di webcam. Inoltre, nelle strutture sanitarie e socio-assistenziali l’uso delle telecamere sarà consentito soltanto nel rispetto della Convenzione Onu sui diritti delle persone disabili e previo consenso degli interessati (ovvero dei tutori se minorenni o incapaci). Il tutto, infine, dovrà avvenire senza oneri aggiuntivi per lo Stato: ciò significa che le strutture dovranno montare le videocamere a proprie spese. Il testo demanda al Garante per la privacy la definizione, entro 60 giorni dall’entrata in vigore, degli adempimenti e delle regole da applicare in relazione all’installazione delle videocamere. Entro 6 mesi, inoltre, il ministro della Salute (di concerto con i sindacati e previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni) dovrà emanare le linee guida per stabilire le modalità di accesso nelle strutture socio-sanitarie per garantire, laddove possibile, le visite agli ospiti per l’intero arco della giornata.
Per quanto concerne i servizi educativi, il tema della sicurezza è da sempre un aspetto di alta vulnerabilità, molto delicato e sentito, sia dalle famiglie che dall’Amministrazione. La Regione Emilia Romagna ha emanato sia leggi che interventi riguardanti la messa a norma degli ambienti e degli arredi per garantire il massimo dell’adeguatezza a principi di salubrità, sicurezza e garanzia delle condizioni di tutela dei bambini e degli spazi in cui essi si muovono e sperimentano quotidianamente. Il Comune di Fidenza ha sempre rispettato le indicazioni regionali pertanto ha offerto e offre luoghi di benessere per i bambini e le loro famiglie. Un aspetto che non può essere normato è la prestazione del personale che si occupa dei bambini sia sotto il profilo della cura e dell’igiene sia sotto il profilo degli interventi educativi.
Per i nidi di Fidenza sono inderogabili i seguenti criteri:
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il personale è dotato di titolo di studio adeguato e di una formazione permanente utile a mantenere attiva la consapevolezza del ruolo che gli compete e della responsabilità legata all’esercizio dell’attività svolta;
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ogni educatore o collaboratore/ausiliario impiegato nel servizio è obbligato a esplicitare lo stile educativo, condividendo con il gruppo di lavoro gli interventi e aderendo ad un progetto pedagogico elaborato e dichiarato dallo stesso personale del servizio che ne fa oggetto di dialogo anche con i genitori dei bambini;
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ogni servizio è dotato di un coordinatore pedagogico in grado di monitorare l’attività del personale, la sua adeguatezza in rapporto a quanto stabilito nel progetto pedagogico, esercitando tale monitoraggio, attraverso periodici incontri con il personale del servizio, oltre a contemplare visite costanti presso i servizi senza preavviso;
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è garantita la compresenza del personale sui turni di lavoro evitando che una educatrice rimanga da sola con bambini: questo è un aspetto importante a garanzia di un implicito controllo che il personale è in grado di esercitare attraverso l’autocontrollo;
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il progetto pedagogico del servizio, e dunque le prestazioni del personale in esso operante, è oggetto di valutazione per verificare lo scarto tra intenzioni dichiarate ed obiettivi educativi effettivamente raggiunti, ivi compreso la modalità e lo stile relazionale che il personale assume con i bambini e con i genitori, e che è caratterizzato da modalità non invasive, giudicanti né tanto meno prevaricanti.
Detto ciò è importante precisare che uno dei requisiti fondamentali su cui si fonda il patto educativo tra il servizio e le famiglie che vi ricorrono per l’accompagnamento alla crescita dei propri figli, è la fiducia reciproca che ovviamente non è scontata, ma va conquistata attraverso il confronto e la constatazione che il luogo in cui i bambini vengono affidati, corrisponde davvero a quanto viene dichiarato dall’ente gestore cioè il Comune ivi compreso la garanzia che le condizioni sopra citate siano effettivamente possedute in toto. Va ricordato che la fiducia è soprattutto un sentimento che ha a che fare con la parte istintiva di ciascuno di noi, mutuata dal pensiero e soprattutto nutrita dal progredire della relazione: è sperimentando la relazione e facendola evolvere che la fiducia può essere confermata o smentita. (“senza la fiducia non ci sarebbe comunità”- Salvatore Natoli-).
Il punto di fondo è questo: non ci si può avvicinare ai servizi educativi avendo un approccio basato unicamente sulla logica del controllo del presunto benessere, magari utilizzando una telecamera, che scruta a distanza l’incolumità dei propri figli, attraverso una modalità che è pregiudica fortemente la fiducia verso il personale che opera al proprio interno.
In questa direzione è compromesso il dialogo e si alimentata la logica del sospetto secondo la quale chiunque si occupi di cura, dall’educatrice che accoglie il bimbo al nido, alla badante che veglia l’anziano in casa, sia inaffidabile e dunque potenzialmente da controllare, escludendo in tal modo il dialogo insito nella reciprocità.
E allora per un insano approccio si potrebbe dire che le stesse riserve potrebbero estendersi ai genitori stessi in quanto lavoratori, per esempio l’infermiera che assiste l’ammalato in ospedale può essere una potenziale omicida? E che dire delle madri o dei padri che in un gesto disperato e forse non intenzionale, uccidono i propri figli? Le citazioni non sono casuali, ma si riferiscono ad analoghi casi di cronaca rispetto ai quali non credo si possano imputare gli stessi comportamenti all’universo dei genitori, piuttosto che a quello degli infermieri. E nessuno ha finora avanzato la proposta di introdurre nelle case le telecamere, nonostante le statistiche ci confermino che è dentro le pareti domestiche che si consumano i fatti più incresciosi di violenza sulle donne e sui bambini (80%).
Certamente davanti a casi di violenza sull’infanzia in contesti di cura occorre non transigere: intanto è necessario valutare se tutti gli standard previsti dalla norma sono garantiti (rapporto numerico adulti/bambini, presenza dei requisiti correlati al titolo di studio e alla formazione in servizio, presenza del coordinatore pedagogico, tempi di apertura adeguati, flessibilità organizzativa monitorata) e se in virtù di eventuali tagli finanziari intervenuti, siano venute meno quelle garanzie basilari che consentono di poter operare con margini di adeguata qualità.
Il punto di snodo di questo lavoro, che è di natura processuale e ricorsivo, e quindi orientato a non dare mai per scontata la qualità dichiarata, ma a ridefinirla costantemente lungo il tragitto osservativo e documentativo e avendo come riferimento un’ipotesi di progettazione condivisa a livello di gruppo di lavoro (personale educativo e ausiliario).
Esiste un motivo prioritario per bandire le telecamere ed è soprattutto di natura pedagogica: che messaggio trasmettono gli adulti ai bambini utilizzando l’occhio che li scruta di nascosto, adducendo che l’obiettivo è per il loro bene? Che immagine svalutante viene accordata alle educatrici che si occupano di loro e quanto questa svalutazione può alterare e compromettere il clima di benessere che è indispensabile per coltivare rapporti co-evolutivi? Quale atmosfera possiamo garantire ai bambini, ma soprattutto al personale se non accordiamo loro la fiducia che può favorire le condizioni ideali per assumersi la responsabilità del proprio gesto quotidiano che deve essere prima di tutto un gesto intenzionale, meditato e pur tuttavia spontaneo? Il processo di autoformazione può avvenire solo se attraverso l’educazione si riesce a favorire, nell’altro ed in sé stessi, lo sviluppo di quelle disposizioni in grado di facilitare tale processo (“Io so che tu sai che io so”).
Al contrario la telecamera scruta, indaga, penetra negli interstizi del nido o della scuola, carpisce dettagli e particolari snaturandoli dal contesto in cui essi si manifestano e soprattutto favorisce comportamenti non spontanei, indotti quindi ad alterare e fortemente compromettere la natura delle relazioni che, come nel Grande Fratello, assumono la dimensione della finzione scenica, pertanto la realtà è dominata dal fantasma del sospetto, del ricatto e del pregiudizio che non esita a minacciare in forma subdola secondo il principio del “io so che tu sai che io so”!
È questo il messaggio che come adulti vogliamo trasmettere ai nostri bambini? E quand’anche avessimo protetto tutti gli ambiti in cui i bambini vivono, siamo certi che queste “riserve” non siano generatrici di nuovi scenari di violenza? Quella indotta appunto dalla diffidenza verso l’altro? (Su questo interrogativo inviterei tutti a riflettere).
Per quanto riguarda la vulnerabilità delle persone non autosufficienti come anziani e disabili è senza dubbio ancora impresso a tutti quanto accaduto nella Cra di Bazzano. Gli episodi di maltrattamento verso le persone non autosufficienti (anziani e disabili) sono sempre più spesso oggetto dei media, che ci rimandano immagini violente e brutali di drammatici casi di cronaca. Anche a seguito degli episodi verificatesi nel territorio provinciale, su mandato della Conferenza Territoriale Socio Sanitaria (CTSS) è stato istituito a marzo 2016 un gruppo di lavoro provinciale composto da professionisti esperti e tecnici che ha prodotto il documento “Prevenzione del maltrattamento nei servizi per le persone non autosufficienti”. In esso vengono, da una parte, individuati aspetti, condizioni e meccanismi correlati all’insorgere dei fenomeni del maltrattamento; dall’altra, delineate le aree di prevenzione del problema e possibili “leve” di intervento. Infine, si formula una proposta – aperta a tutte le parti interessate al tema – per la realizzazione di un percorso condiviso adeguato alla complessità del problema. Si evidenziano diversi fattori critici connessi a condizioni di disagio e rischi di maltrattamento verso le persone non autosufficienti: ne emerge un quadro complesso dove si intrecciano elementi soggettivi, professionali, organizzativi, gestionali e culturali, che coinvolgono diverse componenti implicate a vario titolo nella gestione dei servizi.
Vengono poi presi in esame diversi aspetti delle organizzazioni dei servizi alla persona sui quali si può intervenire per prevenire ed evitare situazioni di disagio e maltrattamento. Si tratta di fattori fra loro strettamente interdipendenti, che vanno letti e gestiti in termini sistemici all’interno delle organizzazioni, fra i quali:
- la selezione, l’inserimento, la formazione di base e continua degli operatori come strumenti di prevenzione;
- il monitoraggio e adeguamento delle condizioni del lavoro di cura e dei fattori di stress correlati;
- la qualità gestionale dei servizi volta a realizzare un’organizzativa di qualità, intesa come tutela della dignità e promozione del benessere della persona;
- rinnovare il dialogo e la negoziazione di merito fra Committenza e Gestione (sui programmi, le modalità gestionali e la valutazione degli esiti) a tutela della qualità del servizio verso l’utenza.
Coerentemente con questi strumenti è importante prevedere che le strutture/i servizi abbiano un carattere sempre più dialogico, trasparente e aperto sia verso i familiari sia verso tutte altre le parti interessate e la cittadinanza nel suo complesso, ad esempio, le associazioni dei familiari, il volontariato di settore ecc. Lo scopo di tali azioni è quello di dar sempre più voce – anche attraverso le loro rappresentanze – alle persone e alle famiglie utenti e di favorirne l’empowerment, bilanciando in tal modo quelle asimmetrie di potere sopra richiamate e favorendo contestualmente la qualità effettiva dei servizi e il benessere complessivo delle persone a cui essi sono dedicati.
La recente costituzione del Comitato Famigliari e Ospiti Casa Residenza Anziani “Città di Fidenza”, costituito da rappresentanti del Comune, di ASP Distretto di Fidenza, Cooperativa Aurora Domus, dalle associazioni di volontariato operanti nella struttura, dalle famiglie degli ospiti risponde alla finalità di favorire la partecipazione dei parenti alla vita del servizio, di facilitare la collaborazione con l’Ente per una migliore qualità dei servizi offerti e per la diffusione delle informazioni alle famiglie, proponendo iniziative integrative finalizzate ad elevare la qualità della vita degli ospiti e al contempo di garantire una valutazione ed un “controllo” anche dall’esterno.
Per quanto riguarda la situazione pre-Asp della Casa Residenza Anziani Città di Fidenza ovvero quanto era Ipab, le telecamere erano presenti e poste sugli ingressi principali all’area cortilizia e alla struttura, con il duplice scopo di impedire allontanamenti indebiti di ospiti con disturbi cognitivi e di controllare e favorire l’accesso di mezzi autorizzati (fornitori, mezzi di soccorso ecc.). I monitor per il controllo degli accessi erano posti nei luoghi più a lungo presidiati durante la giornata (la cucina) e la notte (la guardiola del personale al primo piano). Per ciò che concerne gli ospiti, le telecamere erano usate in combinato con altri mezzi per evitare allontanamenti, quali cancelletti interni e cancelli esterni dotati di tastiere a codici, interfacciati con il sistema di prevenzione incendi. Nessuna telecamera era posta all’interno della casa protetta, perché al tempo in contrasto con le norme previste dallo statuto dei lavoratori e con la legge a tutela della privacy. Con la trasformazione in ASP, pur rimanendo il sistema predisposto, le telecamere della CRA di Fidenza sono state disinstallate. Rispetto alle Cra, unitamente agli elementi relativi alla privacy, si pone altresì il delicato tema della cura soprattutto in presenza di delicate patologie attinenti in particolare alle demenze.
Per tutto quanto sopraesposto si ribadisce che la videosorveglianza non sia la soluzione al problema e che non ci sia soprattutto una unica e sola soluzione al problema, ma eventualmente un mix di interventi volti a limitare e ridurre il più possibile la probabilità che accadano episodi di violenza e maltrattamento. Siamo però disponibili, come Amministrazione, ad affrontare il tema della videosorveglianza, quando la proposta diventerà legge e sarà coinvolto sia il Garante che il Ministro della Salute per gli atti e le decisioni di loro competenza, in apposito percorso di commissione consiliare insieme ai consiglieri di minoranza e maggioranza che, interessati, vorranno affrontare il complesso e delicato tema dell’uso della videosorveglianza come soluzione al problema degli episodi di maltrattamento e violenza delle persone più indifese come minori, anziani e disabili.