giu 102011
 
desertec

Dopo Fukushima, favorevoli o contrari?

Non è questo il quesito a cui rispondere; la questione è tutta politica: in Italia manca una strategia governativa in materia di energia. Dopo le di-chiarazioni temerarie e francamente imbarazzanti dei ministri Prestigiacomo e Romani, che a fronte di una posizione di cautela dinnanzi al disastro giapponese, assunta da molte nazioni europee (Germania in primis), non hanno saputo far altro che confermare il rilancio del nucleare come unica via per rispondere alle esigenze energetiche del nostro Paese, ora si torna indietro, certo non per riflettere seriamente, ma perché il tema è spinoso e potrebbe alienare consensi alla maggioranza di gover-no, in questa vigilia elettorale. Indub-biamente la possibilità di convertire piccolissime quantità di massa in enormi quantità di energia, è stata una delle più grandi scoperte scientifiche fatte dall’uomo, ma, in pratica, questa tecnologia crea problemi più gravi di quelli che vorrebbe risolvere.
Molti sono i “miti” legati al nucleare, come quello che lo vorrebbe in crescita in tutto il mondo. Attualmente sono attive 436 centrali, cinque in meno del 2003; gli impianti sono molto datati e nei prossimi dieci anni quelli che entreranno in funzione sono molti meno di quelli che dovranno essere spenti per motivi d’età. La quota nucleare di potenza elettrica installata in Europa, è scesa del 24% nel 1995 e del 16% nel 2008. Nel 2000 la Germania, ha deciso di chiudere pro-gressivamente le sue centrali senza costruirne di nuove; nel suo discorso d’insediamento, il presidente USA Obama ha detto: “Otterremo dal sole, dal vento e dalla terra, l’energia per far funzionare le nostre industrie e le nostre automobili”. La stessa Cina prevede d’installare entro il 2030 più potenza eolica che nucleare.
Lo sviluppo dell’energia nucleare è finito ormai da 20 anni e l’energia elettrica con essa prodotta nel mondo, è dimi-nuita di 60 TWh dal 2006 al 2008; l’energia nucleare non è economicamente competitiva in un regime di libero mercato, perché se lo Stato non si accolla i costi nascosti, come la sistemazione delle scorie, la dismis-sione degli impianti, le  assicurazioni, oppure non garantisce ai produttori consumi e prezzi alti, ovviamente a tutto svantaggio dei cittadini, nessuna impresa privata sarà disposta ad investire in progetti che hanno rischi finanziari diversi, a cominciare dall’incertezza dei tempi di realizza-zione. A riprova di ciò, nuove centrali nucleari vengono, infatti, costruite principalmente, nei Paesi ad economia pianificata come la Cina, la Russia, l’India, in cui lo Stato si accolla gran parte degli oneri economici.
Tornando al tema dei costi,  senza dubbio il modo più economico per produrre energia elettrica, è l’eolico. I costi iniziali delle centrali nucleari, sono sempre stati sottostimati: così è accaduto in Florida per i due reattori di Progress Energy, in Finlandia per la centrale EPR costruita dalla francese AREVA, la stessa che dovrebbe installare le quattro centrali in Italia: si è partiti nel giugno 2008 da una stima fornita da ENEL di 3/3.5 miliardi di euro, rivista in ottobre a 4 miliardi e in lu-glio 2009, ad almeno 4.5.
In Canada, nel luglio 2010, il costo era di 10.8 miliardi di dollari per 1000 MW (megawatt); ma   ciò  che  risulta più determinante, è il costo per la costruzione dei depositi permanenti delle scorie, che diventa incalcolabile, in quanto non si è riusciti a costruirli in nessuna nazione, pur con i tentativi Finlandesi e Svedesi; così come è difficile calcolare quello per lo smantellamento delle centrali che vengono chiuse a fine ciclo, operazione complessa, pericolosa e costosa che generalmente viene rimandata (di 100 anni in Gran Bretagna) in attesa che la radioattività diminuisca e gli sviluppi della tecnologia rendano più facili le operazioni, tutto ciò sulle spalle delle prossime generazioni, ignare e incolpevoli.
La sistemazione definitiva delle scorie che contengono diversi elementi radioattivi, pericolosi per migliaia di anni, costituiscono il principale problema ambientale legato al nucleare: nessuno è in grado di garantire che esse possano essere messe al sicuro per un periodo così lungo; un tentativo in questo senso è stato portato avanti per 30 anni negli USA, ma è fallito, con il risultato che le scorie rimangono sui piazzali delle centrali (Chemical & Engineering News, 23 marzo 2009).
Occorre precisare che la presenza di centrali nucleari non crea in sé inquinamento radioattivo nelle zone circostanti e pericoli per chi le abita, ma il tutto deve essere governato da un’Agenzia per la sicurezza, indipendente e qualificata; in Italia questa agenzia non esiste e nutro seri dubbi possa essere indipendente dal potere economico o politico, nonché affidabile. Figuriamoci, non ci sono riusciti i giapponesi e noi abbiamo ancora Napoli sommersa dai rifiuti! Scordiamoci, realisticamente, il nucleare “sicuro” perché anche là dove esso è governato da agenzie serie e indipendenti (Francia, Finlandia), le stesse hanno richiesto ulteriori e drastiche modifiche nei sistemi di controllo  proprio del reattore AREVA (il tipo di quelli che noi dovremmo acquistare) in costruzione in Finlandia, dove la centrale di Oikiluoto, la più avanzata, ha subito un aumento dei costi di costruzione del 60% ed ha visto la critica fortissima delle agenzie di sicurezza Asn (francese), HSE’sND (inglese), Stuk (finlandese). Ma torniamo all’Italia e alla sua indipendenza energetica: il nostro Paese non ha uranio e se il settore elettrico si volesse liberare dalla sua dipendenza dai combustibili fossili (carbone, gas, petrolio), puntan-do sul nucleare, è evidente che si creerebbe un’altra dipendenza: quella dall’uranio, da importare ed in via d’esaurimento; inoltre, le centrali nucleari, per essere costruite, liberate dalle scorie, alimentate con uranio o smantellate, richiedono una grande quantità di energia principalmente basata, proprio, sui combustibili fossili. In ogni caso le centrali che s’inten-derebbero installare in Italia, non entrerebbero in funzione prima del 2020 e quindi in ritardo rispetto ai termini dettati dall’UE per ciò che riguarda la riduzione di produzione di CO2 del 17% entro il 2020.
Solitamente rispetto al tema dell’indipendenza, ci si riferisce all’esempio della Francia che, in realtà, nonostante le sue 58 centrali nucleari, importa più petrolio dell’Italia; meno gas, sì, ma uranio ed anche energia elettrica, come si apprende da una notizia comparsa su Le Monde, il 17 novembre scorso. Non dimentichiamo che è pur vero che l’energia elettrica dal nucleare produce minori quantità di gas serra rispetto a quella ottenuta dai combustibili fossili, ma assai di più di quella ottenuta dall’energia eolica o solare. Inoltre, un forte sviluppo mondiale del nucleare porterebbe a grossi problemi di approvvigionamento dell’uranio prima della fine dell’utilizzo di nostre eventuali centrali (2060-2080). Le centrali di IV generazione, poi, sono poco più che progetti, in quanto non si spiegherebbe come mai dovremmo partire ora con quelle di III generazione che, se entreranno in funzione entro il 2020, dovranno essere utilizzate sino al loro esaurimento (2060-2080). Una tecnologia già obsoleta!
Le prime 4 su circa 8/10, previste nel piano del nostro Go-verno, produrranno solo il 14% dei consumi elettrici, corrispondenti ad un misero 3,2% dei consumi finali d’energia. Poi dove le mettiamo? Cinque zone in pole position: Montalto di Castro, Rovigo, Trino Vercellese, Caorso e Termoli; per definire queste ”macroaree”, l’Agenzia italiana per la sicurezza nucleare si rifarà ai criteri della AIEA (agenzia internazionale per l’energia atomica) e dell’OCSE, che definiscono i limiti minimi dal punto di vista della sismicità e della stabilità idrogeologica. Inoltre, l’Agenzia farà una Valutazione Ambientale Strategica, che tenga conto delle necessità “tecniche” di queste installazioni, in particolare la disponibilità di acqua, che deve essere grande. Il tutto verrà sottoposto ad una Conferenza Unificata (Stato, Regioni, Province e Comuni). Peccato che l’Agenzia non esista ancora, molte Regioni abbiano risposto “picche”, Enel (la maggiore azienda interessata) abbia proposto addi-rittura  di modificare il Titolo V della Costituzione sulle autonomie locali, per evitare il parere delle Regioni, e che, ai Comuni interessati, siano stati promessi 20 milioni l’anno, come compensazione. Insomma, un “centralismo nucleare”! Mentre la maggioranza votava in Se-nato una mo-zione di criti-ca al solare termodinamico a concentrazione, una tecnologia perfezionata da Carlo Rubbia, Germania e Francia con il sostegno UE, decidevano d’investite 400 miliar-di di euro nell’operazione Desertec, che prevede  di tappezzare le superfici desertiche del Nord Africa e del Medio Oriente di pannelli solari con quella tecnologia, per fornire energia pulita a tutta l’EUMENA (Europa, Medio Oriente, Nord Africa). Per non parlare poi, secondo un’inchiesta del Wall Street Journal, delle cinque scoperte che cambieranno il mondo: pannelli solari in orbita, biocarburanti estratti dalle alghe marine, batterie elettriche per auto con autonomia superiore a 600 km, capaci anche d’immagazzinare l’energia del vento, CO2 trasformato in metallo per essere catturato e sepolto nelle centrali a car-bone; salveranno il pianeta dal cam-biamento climatico, ridurranno l’inquinamento, saranno il motore di un ciclo di sviluppo economico soste-nibile, generando milioni di posti di lavoro nelle “attività verdi”. E’ vero, attualmente non sono tecnologie com-petitive dal punto di vista economico, ma perché siano vincenti, occorre che governi e privati, per il bene comune e del nostro pianeta, le sostengano. In molti paesi, la ricerca scientifica e la sperimentazione sono ad un passo dal traguardo. La risposta della politica, dunque, può essere una sola: investire sulle energie alternative, diminuire i consumi, utilizzare l’energia in modo più razionale, potenziare i mezzi pub-blici, spostare le merci su rotaie e navi. Ad un Paese come il nostro, che non possiede né carbone, né petrolio, né uranio (il nucleare ci farebbe restare dipendenti!), non resta che utilizzare ciò che ha in abbondanza: il sole, che durerà, almeno, per i prossimi quattro miliardi di anni.

Nicoletta Fanzini
nfanzini@pdfidenza.it

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